martedì 24 aprile 2012

Riassunto Platone


Vita e scritti
Platone nacque ad Atene nel 428 a.C.; il suo vero nome era Aristide, ma si pensa che l'abbia a causa dell'influenza che ebbe su di lui quello che dalla tradizione è considerato suo maestro Cratilo (secondo Cratilo, infatti, i nomi devono essere appropriati alle persone che li portano, pere cui risultava più idoneo Platone perché platus si riferiva all'ampia fronte, segno secondo lui di intelligenza, che lo distingueva).
Nel 408 conobbe Socrate diventandone allievo, per questo Platone è una delle testimonianze dirette che riguardano la vita e il pensiero del maestro più attendibili e esaustienti, anche se a volte il personaggio dei suoi dialoghi sembra essere un Socrate modellato appositamente e finalisticamente alla presentazione della dottrina dell'allievo. Compì molti viaggi: a Creta, in Egitto, in Magna Grecia e per ben tre volte a Siracusa (qui si legò a Dione, cognato del tiranno Dionisio).
Questi solo alcuni degli avvenimenti di particolare rilievo che contraddistinsero la vita di Platone.
Inizio a scrivere i suoi dialoghi prima di iniziare a viaggiare per Siracusa, si sostiene fin dal 399, anno della morte di Socrate. La società descritta è quella a lui contemporanea, si parla dell'Atene del V secolo, i personaggi sono di quella società, gli interlocutori del Socrate storico.
Sotto il nome di Platone sono stati tramandati 34 dialoghi, un discorso (l'Apologia di Socrate) e un corpo di lettere; materiale diviso da Trasibolo, nel I secolo, in 9 tetralogie. Non si ha una vera precisa cronologia dei dialoghi, si sa soltanto, per testimonianza di Aristotele, che le Leggi sono l'ultimo scritto del maestro. Inoltre, il fatto che Platone ritornò spesso sui suoi dialoghi complica ancora di più le cose.
L'ipotesi cronologica potrebbe essere questa:
  1. Ad un primo periodo apparterrebbero i dialoghi definiti aporetici o socratici, nei quali alla domanda posta dal Socrate platonico “ti esti”, “che cosa è” una data cosa, seguono molte possibili risposte ma nessuna definitiva. Parlo di: Carmide, sulla nozione di saggezza, Eutifrone, sulla santità, Lachete, sul coraggio, il Liside, sul concetto di amicizia, lo Ione, sulla poesia, il Protagora, sulla virtù, l'Ippia maggiore, sulla bellezza, l'Alcibiade primo, sulla consapevolezza e la conoscenza dell'utile e del giusto, l'Alcibiade secondo, sul senno, la stoltezza e l'ignoranza. A questo primo periodo appartengono, molto probabilmente, anche l'Apologia di Socrate e il Critone.
  2. Poi ci sarebbero i dialoghi intermedi tra il primo e il secondo periodo: lEutidemo, in cui si confutano le tesi degli eristi, il Menone, sull'insegnabilità delle virtù e sulla teoria della reminescenza e il Gorgia, sulla retorica.
  3. Al secondo periodo apparterrebbero il Fedone, in cui si narra dell'ultimo giorno di vita di Socrate, il Simposio, in cui si celebrano discorsi a favore di Eros, il Fedro, dedicato al problema della retorica e della scrittura, al valore dell'amore, la Repubblica, dialogo in dieci libri che illustrano il disegno della bella città governata dai filosofi e il Cratilo, dedicato al problema dell'origine dei nomi e del loro rapporto con la cosa a cui sono attribuiti.
  4. Al terzo periodo apparterrebbero il Teeteto, dialogo sull'episteme e la conoscenza, il Sofista, che parla dell'essere e del non essere e il Parmenide, dialogo autocritico.
    Alla fine del terzo periodo apparterrebbero il Politico, sulle varie forme di costituzione, il Filebo, sulla scelta della vita migliore, il Timeo, dialogo in cui si narra della struttura dell'anima del mondo e dell'anima dell'uomo, e le Leggi, in cui si disegna un codice legislativo finalizzato all'educazione dei cittadini.

La polemica contro i sofisti
Possiamo dividere la filosofia platonica in tre nuclei di pensiero distinti, questa è una classificazione che faccio io per semplificarne la comprensione ed il ricordo ai fini dello studio, ma bisogna preliminarmente sottolineare che la speculazione platonica e i tre concetti centrali che ne distinguo sono tutti tra di loro collegati e formano un sistema unico ed unitario.
Per iniziare a parlare della filosofia platonica è necessario, per forza di cose, introdurre la polemica contro i sofisti sostenuta dal nostro. Questa polemica, che nei dialoghi è rappresentata da un Socrate che decostruisce le nozioni proposte dai sofisti in riferimento ai vari argomenti trattati e che propone la sua visione della realtà, è preliminare alla concezione che Platone ha della realtà e della vita. Secondo il Socrate del Gorgia, la retorica, arte cardine della conoscenza sofistica, è un emperia, una pratica in grado di produrre gioia e piacere, non è una tecnica ma ha l'apparenza di esserlo. Esistono, spiega Socrate, tecniche di cura dell'anima e tecniche di cura del corpo. La tecnica di cura dell'anima si chiama nel suo insieme politica e si divide in due parti: legislazione e giustizia. La tecnica di cura del corpo si divide anche essa in due parti, ma non ha un nome: ginnastica e medicina. L'adulazione è la responsabile della creazione di immagini ingannevoli di ciascuna di queste parti: quelle che fingono di prendersi cura dell'anima si chiamano sofistica e retorica, quelle che fingono di prendersi cura del corpo si chiamano culinaria e cosmetica. La differenza fondamentale tra le tecniche e le loro immagini sta nel fatto che le prime agiscono in vista del meglio, avendo, per ciascuna delle proposte terapeutiche, una spiegazione; le seconde, invece, agiscono sempre e soltanto in vista del piacevole e mancano di ogni criterio.
La retorica è per l'anima quello che la culinaria è per il corpo, così come il cuoco sceglie i cibi avendo di mira soltanto il piacere del palato e, nella cura del corpo, sostituendosi al medico che è l'unico a conoscere il bene del corpo, inganna gli uomini e li adula, allo stesso modo il retore, nella cura dell'anima, si sostituisce al filosofo e propina il suo falso sapere agli ascoltatori, dicendo loro la verità ma ciò che essi vogliono ascoltare.
L'esigenza di misurarsi con la sofistica nacque in platone solo dopo la morte del maestro e fu sempre tendente a costruire una forma di sapere che fosse in grado di sottrarre ai politici la gestione della prassi politica. Il problema e la critica che Platone fa ai sofisti, non è soltanto il problema della verità che Platone vuole mostrare, ma è strettamente legato agli altri due concetti focali che esamineremo più in avanti:la teoria delle idee e della conoscenza, e la morale etica e politica che anima i dialoghi sulla città e sulla sua guida.
Protagora e Gorgia, due dei sofisti più conosciuti all'epoca, diventano per Platone l'emblema dell'impossibilità di un sapere assoluto e universalmente valido, capace di descrivere lo stato del mondo al di là delle credenze e delle opinioni soggettive, e dunque i sostenitori dell'impossibilità di elaborare un criterio di giustizia che consenta, al di là della capacità persuasiva del gruppo dominante, di valutare la correttezza delle decisioni politiche. A questo fine Platone costruì una critica della retorica e della scrittura che facesse da sfondo ad una concezione della filosofia come confronto dialogico, orale, come struttura del pensiero in grado di provare le proprie ragioni e quelle dell'altro e così aprirsi un varco nella verità. Il testo scritto, esattamente come il discorso sofistico e retorico, è incapace di aprirsi un varco alla verità perché non sa essere interattivo, non sa rispondere alle domande che esso stesso pone perché resta legato al contesto comunicativo all'interno del quale nasce e si sviluppa. Ed ecco che c'è la necessità di una nuova forma che sappia comunicare la verità delle cose, il dialogo socratico, dialogo al quale Platone ha consegnato la scrittura della sua filosofia, ormai libera dalla pesantezza e dalla rigidità della scrittura.

Idee e Iperuranio, reminescenza e realtà
Nei dialoghi platonici si osservano delle costanti strutturali. Una di queste è la classica tendenza alla polarizzazione che tutto in due livelli, uno alto, contraddistinto dalla permanenza, dalla trasparenza e dall'universalità; l'altro è basso, instabile, opaco, frammentato. Tra questi due livelli si colloca un terzo intermedio che svolge una funzione di mediazione, tra la stabilità dell'essere e la variabilità del divenire, tra l'universalità della scienza e la particolarità dell'opinione, tra l'eternità e il tempo.
L'idea è l'ipotesi della filosofia platonica che regge ogni costruzione gnoseologica, su di essa riposa ogni possibilità di conoscenza e dunque anche ogni progetto politico. Essa è l'unità dell'intellegibile distinta dal molteplice sensibile. Ciascuna delle cose sensibili è omonima di un'idea, partecipa di essa e da questa partecipazione ricava le condizioni di possibilità della sua conoscibilità.
Per Platone la scienza ha i caratteri della stabilità, dell'immutabilità e della perfezione; quindi il suo oggetto non possono essere le cose del mondo, mutevoli ed imperfette, queste sono oggetto dell'opinione (che egli definisce dòxa). Oggetto proprio della scienza non possono essere che le idee, quelle entità immutabili e perfette che esistono di per se stesse e che costituiscono una zona d'essere diversa dalla nostra, zona che Platone definisce Iperuranio che in greco significa “al di là del cielo”.
Le cose sono dunque una copia e un'imitazione imperfetta delle idee. L'idea platonica è allora il modello unico e perfetto delle cose molteplici e imperfette che costituiscono questo mondo. L'idea platonica finirà per configurarsi come la forma unica e perfetta di qualsiasi gruppo o classe di cose designate dal medesimo nome e che possono essere fatte oggetto di scienza. L'idea platonica ha quindi oltre ad una forma matematico-etica anche una forma logico-ontologica. Nella fase matura del pensiero platonico compaiono due tre tipi fondamentali di idee: le idee valori (corrispondenti ai supremi principi etici, estetici e politici, ossia al Bene, alla Bellezza e alla Giustizia); le idee matematiche (corrispondenti all'entità dell'aritmetica e della geometria) e le idee delle cose naturali e artificiali. Questi diversi tipi formano una gerarchia piramidale delle idee al cui vertice troviamo l'idea del Bene.
Filosofo è colui che non confonde il campo delle idee con quello sensibile delle cose, infatti Platone ci tiene a sottolineare che le idee sono uniche ma si manifestano in una molteplicità di modi, in relazione alle altre idee, a contatto con i corpi, e così quella che è la loro caratteristica unicità sembra risolversi in molteplicità.
Platone segnala tre diversi rapporti tra le cose e le idee: il rapporto di imitazione (mimesis) ovvero le cose imitano le idee; il rapporto di presenza per cui le idee sono presenti nelle cose (parousia) e il rapporto di partecipazione per cui le cose partecipano delle idee (mdethexis).
C'è, dunque, un unico mondo, fatto sia di idee che di cose, ma cambia il modo di guardarlo e questo diverso modo di guardare il mondo dipende dalla natura e dall'educazione dell'anima. La dialettica, scienza delle idee, delle loro configurazioni e delle loro relazioni, è una grammatica ideale in grado di cambiare lo sguardo dell'anima sul mondo.
L'allegoria della caverna è vista come una sintesi di tutta la filosofia platonica: la prima parte, che descrive il faticoso processo di autoeducazione del filosofo per condurre l'anima verso il bene, rappresenta la filosofia teoretica di Platone, ribadendo il carattere logico ed ontologico delle idee. La seconda parte, che narra il ritorno nella caverna dell'uomo liberato e il triste destino che lo accompagna, ovvero l'essere incompreso, è una metafora della filosofia pratica del nostro.
L'idea è l'oggetto di un discorso che si appoggia a nient'altro che a se stesso, al suo procedere rigoroso teso a cogliere la natura del vero, intesa come struttura intellegibile del reale distinta dalla sua apparenza sensibile, dalla sua dimensione opinabile.
Le idee non possono derivare dai sensi per cui devono per forza di cose essere conosciute tramite una visione intellettuale, ossia tramite un immediato sguardo che la mente ha della realtà. Per Platone questo problema è spiegabile grazie alla teoria della reminescenza, che sostiene che la nostra anima, prima di calarsi nel corpo che poi occuperà per la vita, è vissuta disincarnata nel mondo delle idee dove ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose. Una volta discesa nel nostro mondo, l'anima conserva un ricordo sopito di ciò che ha veduto. Solo grazie all'esperienza delle cose, occasione e stimolo per la memoria, l'anima riesce a ricordare ciò che ha visto nell'Iperuranio.
La reminescenza postula di per sé l'immortalità dell'anima, per cui passiamo al terzo centro focale della speculazione platonica.

Anima, morale e politica
La reminescenza postula di per sé l'immortalutà dell'anima; con la dottrina delle idee Platone volle concedere agli uomini uno strumento che consentisse loro di uscire dal caos delle opinioni e dei costumi, uno strumento che gli consentisse di allontanarsi dalle lotte e dalle violenze in cui la molteplicità dei punti di vista li aveva fatti inevitabilmente cadere. L'assolutismo della teoria delle idee serve da contrappunto al relativismo sofistico e facendo questo si erge a strumento di controllo e dettatura della verità.
Il sapere stabilisce tra l'uomo e le idee un rapporto che non è solo di tipo intellettuale ma anche pratico e che impegna anche la volontà. Questo rapporto è definito da Platone, amore, eros. L'amore è aspirazione ed elevazione progressiva dell'anima verso il mondo delle idee. L'amore fa nascere nell'uomo il desiderio perché gli mostra la mancanza di ciò che non ha e così lo spinge verso il perfetto e l'universale, la bellezza. La bellezza è il fine e l'oggetto dell'amore perché è il bene che rende felici; è proprio questo ciò che ricerca l'uomo, il bene e la felicità, per cui l'amore funge da stimolo non solo alla ricerca del mancante ma anche al ricordo e alla reminescenza delle idee. Nell'anima che è caduta e si è incarnata il ricordo delle sostanze ideali è risvegliato proprio dalla bellezza. L'anima è quindi come una biga trainata da due cavalli, uno attento alla doxa e al piacere, quindi sempre pesante e legato alla terra opinabile, l'altro proteso verso la felicità, attento al mondo dell'amore e della bellezza, e così teso verso il mondo sostanziale delle idee. Inoltre, ogni anima ha una parte razionale (loghistikon), una parte aggressiva e collerica (thymoeides) e una parte desiderante (epithymetikon). La terza parte ha radici profonde nella corporeità, mentre la prima è simile alle idee. Più la parte razionale è in grado di comandare le altre parti, più l'anima dell'individuo sarà protessa alla comprensione della verità e al giusto comportamento morale.
Proprio a partire da questa definizione dell'anima si capisce come Platone passi ad analizzare il problema della giustizia. Dato che le anime sono diverse tra di loro, il campo dell'indagine per trovare il valore e la verità del concetto di giustizia deve spostarsi dal caso particolare e abbracciare una visione più universale. Il metro con cui si giudicherà della giustizia sarà, quindi, non più il bene del singolo, ma dell'intera comunità. La giustizia in una città sarà esattamente la stessa cosa della giustizia in un'anima, ci sarà, infatti, giustizia solo se si riuscirà ad ottenere la separazione dei compiti parallela a quella che facciamo tra le diverse parti della nostra anima.
Gli uomini non sono uguali per natura, sia dal punto di vista mentale che morale essi sono diversi e per questo diverse sono le funzioni che dovranno svolgere per costruire una società giusta. Ci saranno allora tre distinte classi: i filosofi, in cui la parte razionale comanda sulle altre parti e da ciò, secondo Platone, discende la vocazione che hanno per il governo della città; ci saranno, poi, guerrieri e produttori di beni materiali, per cui rispettivamente si parla di un prevalere della parte aggressiva e della parte desiderante.
Si nota subito che in Platone la psiche e la polis sono costruzioni parallele. Rendere unitaria la psiche facendo sì che tutte le sue parti accettino di essere governate dalla parte razionale, è compito dell'educazione. Rendere, invece, unitaria la polis facendo sì che tutte le classi accettino di essere guidate dai filosofi, è compito della politica.

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