Vita e
scritti
Platone nacque ad Atene
nel 428 a.C.; il suo vero nome era Aristide, ma si pensa che l'abbia
a causa dell'influenza che ebbe su di lui quello che dalla tradizione
è considerato suo maestro Cratilo (secondo Cratilo, infatti, i nomi
devono essere appropriati alle persone che li portano, pere cui
risultava più idoneo Platone perché platus
si riferiva all'ampia fronte, segno secondo lui di intelligenza, che
lo distingueva).
Nel 408 conobbe Socrate
diventandone allievo, per questo Platone è una delle testimonianze
dirette che riguardano la vita e il pensiero del maestro più
attendibili e esaustienti, anche se a volte il personaggio dei suoi
dialoghi sembra essere un Socrate modellato appositamente e
finalisticamente alla presentazione della dottrina dell'allievo.
Compì molti viaggi: a Creta, in Egitto, in Magna Grecia e per ben
tre volte a Siracusa (qui si legò a Dione, cognato del tiranno
Dionisio).
Questi solo alcuni degli
avvenimenti di particolare rilievo che contraddistinsero la vita di
Platone.
Inizio a scrivere i suoi
dialoghi prima di iniziare a viaggiare per Siracusa, si sostiene fin
dal 399, anno della morte di Socrate. La società descritta è quella
a lui contemporanea, si parla dell'Atene del V secolo, i personaggi
sono di quella società, gli interlocutori del Socrate storico.
Sotto il nome di Platone
sono stati tramandati 34 dialoghi, un discorso (l'Apologia di
Socrate) e un corpo di lettere; materiale diviso da Trasibolo,
nel I secolo, in 9 tetralogie. Non si ha una vera precisa cronologia
dei dialoghi, si sa soltanto, per testimonianza di Aristotele, che
le Leggi sono l'ultimo
scritto del maestro. Inoltre, il fatto che Platone ritornò spesso
sui suoi dialoghi complica ancora di più le cose.
L'ipotesi
cronologica potrebbe essere questa:
- Ad un primo periodo apparterrebbero i dialoghi definiti aporetici o socratici, nei quali alla domanda posta dal Socrate platonico “ti esti”, “che cosa è” una data cosa, seguono molte possibili risposte ma nessuna definitiva. Parlo di: Carmide, sulla nozione di saggezza, Eutifrone, sulla santità, Lachete, sul coraggio, il Liside, sul concetto di amicizia, lo Ione, sulla poesia, il Protagora, sulla virtù, l'Ippia maggiore, sulla bellezza, l'Alcibiade primo, sulla consapevolezza e la conoscenza dell'utile e del giusto, l'Alcibiade secondo, sul senno, la stoltezza e l'ignoranza. A questo primo periodo appartengono, molto probabilmente, anche l'Apologia di Socrate e il Critone.
- Poi ci sarebbero i dialoghi intermedi tra il primo e il secondo periodo: lEutidemo, in cui si confutano le tesi degli eristi, il Menone, sull'insegnabilità delle virtù e sulla teoria della reminescenza e il Gorgia, sulla retorica.
- Al secondo periodo apparterrebbero il Fedone, in cui si narra dell'ultimo giorno di vita di Socrate, il Simposio, in cui si celebrano discorsi a favore di Eros, il Fedro, dedicato al problema della retorica e della scrittura, al valore dell'amore, la Repubblica, dialogo in dieci libri che illustrano il disegno della bella città governata dai filosofi e il Cratilo, dedicato al problema dell'origine dei nomi e del loro rapporto con la cosa a cui sono attribuiti.
- Al terzo periodo apparterrebbero il Teeteto, dialogo sull'episteme e la conoscenza, il Sofista, che parla dell'essere e del non essere e il Parmenide, dialogo autocritico.Alla fine del terzo periodo apparterrebbero il Politico, sulle varie forme di costituzione, il Filebo, sulla scelta della vita migliore, il Timeo, dialogo in cui si narra della struttura dell'anima del mondo e dell'anima dell'uomo, e le Leggi, in cui si disegna un codice legislativo finalizzato all'educazione dei cittadini.
La
polemica contro i sofisti
Possiamo
dividere la filosofia platonica in tre nuclei di pensiero distinti,
questa è una classificazione che faccio io per semplificarne la
comprensione ed il ricordo ai fini dello studio, ma bisogna
preliminarmente sottolineare che la speculazione platonica e i tre
concetti centrali che ne distinguo sono tutti tra di loro collegati e
formano un sistema unico ed unitario.
Per
iniziare a parlare della filosofia platonica è necessario, per forza
di cose, introdurre la polemica contro i sofisti sostenuta dal
nostro. Questa polemica, che nei dialoghi è rappresentata da un
Socrate che decostruisce le nozioni proposte dai sofisti in
riferimento ai vari argomenti trattati e che propone la sua visione
della realtà, è preliminare alla concezione
che Platone ha della realtà e della vita. Secondo il Socrate del
Gorgia, la retorica,
arte cardine della conoscenza sofistica, è un emperia, una pratica
in grado di produrre gioia e piacere, non è una tecnica ma ha
l'apparenza di esserlo. Esistono, spiega Socrate, tecniche di cura
dell'anima e tecniche di cura del corpo. La tecnica di cura
dell'anima si chiama nel suo insieme politica
e si divide in due parti: legislazione
e giustizia. La
tecnica di cura del corpo si divide anche essa in due parti, ma non
ha un nome: ginnastica e
medicina. L'adulazione
è la responsabile della creazione di immagini ingannevoli di
ciascuna di queste parti: quelle che fingono di prendersi cura
dell'anima si chiamano sofistica e
retorica, quelle che
fingono di prendersi cura del corpo si chiamano culinaria e
cosmetica. La
differenza fondamentale tra le tecniche e le loro immagini sta nel
fatto che le prime agiscono in vista del meglio, avendo, per ciascuna
delle proposte terapeutiche, una spiegazione; le seconde, invece,
agiscono sempre e soltanto in vista del piacevole e mancano di ogni
criterio.
La
retorica è per l'anima quello che la culinaria è per il corpo, così
come il cuoco sceglie i cibi avendo di mira soltanto il piacere del
palato e, nella cura del corpo, sostituendosi al medico che è
l'unico a conoscere il bene del corpo, inganna gli uomini e li adula,
allo stesso modo il retore, nella cura dell'anima, si sostituisce al
filosofo e propina il suo falso sapere agli ascoltatori, dicendo loro
la verità ma ciò che essi vogliono ascoltare.
L'esigenza
di misurarsi con la sofistica nacque in platone solo dopo la morte
del maestro e fu sempre tendente a costruire una forma di sapere che
fosse in grado di sottrarre ai politici la gestione della prassi
politica. Il problema e la critica che Platone fa ai sofisti, non è
soltanto il problema della verità che Platone vuole mostrare, ma è
strettamente legato agli altri due concetti focali che esamineremo
più in avanti:la teoria delle idee e della conoscenza, e la morale
etica e politica che anima i dialoghi sulla città e sulla sua guida.
Protagora
e Gorgia, due dei sofisti più conosciuti all'epoca, diventano per
Platone l'emblema dell'impossibilità di un sapere assoluto e
universalmente valido, capace di descrivere lo stato del mondo al di
là delle credenze e delle opinioni soggettive, e dunque i
sostenitori dell'impossibilità di elaborare un criterio di giustizia
che consenta, al di là della capacità persuasiva del gruppo
dominante, di valutare la correttezza delle decisioni politiche. A
questo fine Platone costruì una critica della retorica e della
scrittura che facesse da sfondo ad una concezione della filosofia
come confronto dialogico, orale, come struttura del pensiero in grado
di provare le proprie ragioni e quelle dell'altro e così aprirsi un
varco nella verità. Il testo scritto, esattamente come il discorso
sofistico e retorico, è incapace di aprirsi un varco alla verità
perché non sa essere interattivo, non sa rispondere alle domande che
esso stesso pone perché resta legato al contesto comunicativo
all'interno del quale nasce e si sviluppa. Ed ecco che c'è la
necessità di una nuova forma che sappia comunicare la verità delle
cose, il dialogo socratico, dialogo al quale Platone ha consegnato la
scrittura della sua filosofia, ormai libera dalla pesantezza e dalla
rigidità della scrittura.
Idee
e Iperuranio, reminescenza e realtà
Nei
dialoghi platonici si osservano delle costanti strutturali. Una di
queste è la classica tendenza alla polarizzazione che tutto in due
livelli, uno alto, contraddistinto dalla permanenza, dalla
trasparenza e dall'universalità; l'altro è basso, instabile, opaco,
frammentato. Tra questi due livelli si colloca un terzo intermedio
che svolge una funzione di mediazione, tra la stabilità dell'essere
e la variabilità del divenire, tra l'universalità della scienza e
la particolarità dell'opinione, tra l'eternità e il tempo.
L'idea
è l'ipotesi della filosofia platonica che regge ogni costruzione
gnoseologica, su di essa riposa ogni possibilità di conoscenza e
dunque anche ogni progetto politico. Essa è l'unità
dell'intellegibile distinta dal molteplice sensibile. Ciascuna delle
cose sensibili è omonima di un'idea, partecipa di essa e da questa
partecipazione ricava le condizioni di possibilità della sua
conoscibilità.
Per
Platone la scienza ha i caratteri della stabilità, dell'immutabilità
e della perfezione; quindi il suo oggetto non possono essere le cose
del mondo, mutevoli ed imperfette, queste sono oggetto dell'opinione
(che egli definisce dòxa). Oggetto proprio della scienza non
possono essere che le idee, quelle entità immutabili e perfette che
esistono di per se stesse e che costituiscono una zona d'essere
diversa dalla nostra, zona che Platone definisce Iperuranio
che in greco significa “al di là del cielo”.
Le
cose sono dunque una copia e un'imitazione imperfetta delle idee.
L'idea platonica è allora il modello unico e perfetto delle cose
molteplici e imperfette che costituiscono questo mondo. L'idea
platonica finirà per configurarsi come la forma unica e perfetta di
qualsiasi gruppo o classe di cose designate dal medesimo nome e che
possono essere fatte oggetto di scienza. L'idea platonica ha quindi
oltre ad una forma matematico-etica anche una forma
logico-ontologica. Nella fase matura del pensiero platonico compaiono
due tre tipi fondamentali di idee: le idee valori (corrispondenti ai
supremi principi etici, estetici e politici, ossia al Bene, alla
Bellezza e alla Giustizia); le idee matematiche (corrispondenti
all'entità dell'aritmetica e della geometria) e le idee delle cose
naturali e artificiali. Questi diversi tipi formano una gerarchia
piramidale delle idee al cui vertice troviamo l'idea del Bene.
Filosofo
è colui che non confonde il campo delle idee con quello sensibile
delle cose, infatti Platone ci tiene a sottolineare che le idee sono
uniche ma si manifestano in una molteplicità di modi, in relazione
alle altre idee, a contatto con i corpi, e così quella che è la
loro caratteristica unicità sembra risolversi in molteplicità.
Platone
segnala tre diversi rapporti tra le cose e le idee: il rapporto di
imitazione (mimesis) ovvero le cose imitano le idee; il
rapporto di presenza per cui le idee sono presenti nelle cose
(parousia) e il rapporto di partecipazione per cui le cose
partecipano delle idee (mdethexis).
C'è,
dunque, un unico mondo, fatto sia di idee che di cose, ma cambia il
modo di guardarlo e questo diverso modo di guardare il mondo dipende
dalla natura e dall'educazione dell'anima. La dialettica, scienza
delle idee, delle loro configurazioni e delle loro relazioni, è una
grammatica ideale in grado di cambiare lo sguardo dell'anima sul
mondo.
L'allegoria
della caverna è vista come una sintesi di tutta la filosofia
platonica: la prima parte, che descrive il faticoso processo di
autoeducazione del filosofo per condurre l'anima verso il bene,
rappresenta la filosofia teoretica di Platone, ribadendo il carattere
logico ed ontologico delle idee. La seconda parte, che narra il
ritorno nella caverna dell'uomo liberato e il triste destino che lo
accompagna, ovvero l'essere incompreso, è una metafora della
filosofia pratica del nostro.
L'idea
è l'oggetto di un discorso che si appoggia a nient'altro che a se
stesso, al suo procedere rigoroso teso a cogliere la natura del vero,
intesa come struttura intellegibile del reale distinta dalla sua
apparenza sensibile, dalla sua dimensione opinabile.
Le
idee non possono derivare dai sensi per cui devono per forza di cose
essere conosciute tramite una visione intellettuale, ossia tramite un
immediato sguardo che la mente ha della realtà. Per Platone questo
problema è spiegabile grazie alla teoria della reminescenza, che
sostiene che la nostra anima, prima di calarsi nel corpo che poi
occuperà per la vita, è vissuta disincarnata nel mondo delle idee
dove ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose. Una
volta discesa nel nostro mondo, l'anima conserva un ricordo sopito di
ciò che ha veduto. Solo grazie all'esperienza delle cose, occasione
e stimolo per la memoria, l'anima riesce a ricordare ciò che ha
visto nell'Iperuranio.
La
reminescenza postula di per sé l'immortalità dell'anima, per cui
passiamo al terzo centro focale della speculazione platonica.
Anima,
morale e politica
La
reminescenza postula di per sé l'immortalutà dell'anima; con la
dottrina delle idee Platone volle concedere agli uomini uno strumento
che consentisse loro di uscire dal caos delle opinioni e dei costumi,
uno strumento che gli consentisse di allontanarsi dalle lotte e dalle
violenze in cui la molteplicità dei punti di vista li aveva fatti
inevitabilmente cadere. L'assolutismo della teoria delle idee serve
da contrappunto al relativismo sofistico e facendo questo si erge a
strumento di controllo e dettatura della verità.
Il
sapere stabilisce tra l'uomo e le idee un rapporto che non è solo di
tipo intellettuale ma anche pratico e che impegna anche la volontà.
Questo rapporto è definito da Platone, amore, eros.
L'amore è aspirazione ed elevazione progressiva dell'anima verso il
mondo delle idee. L'amore fa nascere nell'uomo il desiderio perché
gli mostra la mancanza di ciò che non ha e così lo spinge verso il
perfetto e l'universale, la bellezza. La bellezza è il fine e
l'oggetto dell'amore perché è il bene che rende felici; è proprio
questo ciò che ricerca l'uomo, il bene e la felicità, per cui
l'amore funge da stimolo non solo alla ricerca del mancante ma anche
al ricordo e alla reminescenza delle idee. Nell'anima che è caduta e
si è incarnata il ricordo delle sostanze ideali è risvegliato
proprio dalla bellezza. L'anima è quindi come una biga trainata da
due cavalli, uno attento alla doxa e al piacere, quindi sempre
pesante e legato alla terra opinabile, l'altro proteso verso la
felicità, attento al mondo dell'amore e della bellezza, e così teso
verso il mondo sostanziale delle idee. Inoltre, ogni anima ha una
parte razionale (loghistikon), una parte aggressiva e
collerica (thymoeides) e una parte desiderante
(epithymetikon). La terza parte ha radici profonde nella
corporeità, mentre la prima è simile alle idee. Più la parte
razionale è in grado di comandare le altre parti, più l'anima
dell'individuo sarà protessa alla comprensione della verità e al
giusto comportamento morale.
Proprio
a partire da questa definizione dell'anima si capisce come Platone
passi ad analizzare il problema della giustizia. Dato che le anime
sono diverse tra di loro, il campo dell'indagine per trovare il
valore e la verità del concetto di giustizia deve spostarsi dal caso
particolare e abbracciare una visione più universale. Il metro con
cui si giudicherà della giustizia sarà, quindi, non più il bene
del singolo, ma dell'intera comunità. La giustizia in una città
sarà esattamente la stessa cosa della giustizia in un'anima, ci
sarà, infatti, giustizia solo se si riuscirà ad ottenere la
separazione dei compiti parallela a quella che facciamo tra le
diverse parti della nostra anima.
Gli
uomini non sono uguali per natura, sia dal punto di vista mentale che
morale essi sono diversi e per questo diverse sono le funzioni che
dovranno svolgere per costruire una società giusta. Ci saranno
allora tre distinte classi: i filosofi, in cui la parte razionale
comanda sulle altre parti e da ciò, secondo Platone, discende la
vocazione che hanno per il governo della città; ci saranno, poi,
guerrieri e produttori di beni materiali, per cui rispettivamente si
parla di un prevalere della parte aggressiva e della parte
desiderante.
Si
nota subito che in Platone la psiche e la polis sono costruzioni
parallele. Rendere unitaria la psiche facendo sì che tutte le sue
parti accettino di essere governate dalla parte razionale, è compito
dell'educazione. Rendere, invece, unitaria la polis facendo sì che
tutte le classi accettino di essere guidate dai filosofi, è compito
della politica.
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