Renè Descartes nacque il
31 marzo del 1596 a La Haye nella Touraine. Fu educato nel collegio
dei gesuiti fino al 1612. Partecipò alla guerra dei trenta anni e
viaggiò per tutta Europa e morì l'undici febbraio del 1650 a
Stoccolma.
Le sue opere principali
sono: Regole per dirigere l'ingegno, il Trattato della luce
(diviso in Diottrica, Meteore e Geometria, ai
quali premise una prefazione il Discorso del metodo pubblicata
nel 1637), le Meditazioni sulla filosofia prima intorno
all'esistenza di Dio e all'immortalità dell'anima, le Obiezioni,
i Principi di filosofia e le Passioni dell'anima.
Per semplicità di studio
possiamo dividere la speculazione cartesiana, che sarà sempre
unitaria per tutta la sua durata, in tre sottoclassi che si
interessano rispettivamente: del metodo e del dualismo, della fisica
e della geometria e, in fine, dello studio della morale.
Metodo e
dualismo cartesiano
Uscito
dal collegio dei gesuiti, Cartesio si rese conto, tramite un esame
introspettivo di cui fa una celebre analisi nel Discorso,
di non essere in possesso né delle conoscenze atte a comprendere il
mondo, ma soprattutto di non aver acquisito il giusto metodo per
giungere alla conoscenza delle verità. Il metodo, secondo Cartesio,
si configura come lo strumento atto a guidare l'uomo sia nella sua
vita fisica che nella sua vita spirituale. Un metodo per offrire
vantaggi all'uomo sia nell'analisi teoretica della realtà che nella
sua vita pratica. La saggezza umana è soltanto una perché l'uomo è
uno anche se svolge molteplici attività.
Nel
presentare le regole del metodo Cartesio prende ad esempio la
matematica che ha queste regole inscritte nella sua essenza e tramite
un processo di astrazione e giustificazione giunge ad elaborare un
metodo che, in teoria, avrebbe dovuto risultare universalmente
applicabile all'uomo concedendogli una buona guida sia nei confronti
dell'analisi dei problemi metafisici che nell'analisi della realtà
fisica a cui tendevano le varie branche del sapere.
Dunque
la guida che Cartesio fornisce all'intera umanità si basa su poche
ma precise regole: 1) non accogliere nulla per vero se non hai
evidenza che tale è, quindi escludi ogni elemento che possa generare
dubbio ed accetta soltanto le cose che intuisci in maniera chiara e
distinta (evidenza); 2) dividi i problemi in più parti possibili, in
questo modo sarà più semplice e meno carico di errori lo giungere
ad una soluzione (analisi); 3) inizia dalle conoscenze più semplici
per risalire, poi, gradualmente verso quelle più complesse
(sintesi); 4) fai in ogni caso enumerazioni così complete e
revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla
(enumerazione e revisione).
Queste
regole, però, necessitano di una giustificazione che possa trovare e
affermare la loro applicabilità all'uomo; a tal fine Cartesio
elabora il procedimento del dubbio, con ciò che ne segue: il cogito
e la dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Per
trovare una giustificazione del metodo bisogna, come prima cosa,
cancellare tutte le conoscenze acquisite e dubitare di ogni cosa,
fino a giungere ad un ché su cui non è possibile dubitare.
L'argomento del genio maligno trasforma il dubbio da metodico
(finalizzato alla dimostrazione e alla giustificazione del metodo) in
iperbolico (un dubbio che si estende ad ogni cosa e diventa
universale); potrebbe esserci la possibilità che l'uomo sia stato
creato da un genio maligno che lo inganna in continuazione facendogli
apparire chiaro ed evidente ciò che è falso ed assurdo. Bisogna
allora dubitare di tutto, ed è proprio a partire da questo dubbio
assoluto che si ha la percezione di una prima certezza: anche per
essere ingannato l'uomo deve esistere, io esisto e solo la mia
esistenza mi permette sia di dubitare che di essere ingannato. Dunque
il procedimento del dubbio prima porta l'uomo in un vuoto totale di
certezza, ma in questo vuoto totale sboccia un ché di indubitabile,
l'esistenza del soggetto uomo che è tale solo in virtù del suo
dubbio. Dubito, penso, quindi esisto; questo è quanto vuole
affermare la celebre affermazione cartesiana cogito
ergo sum, il
pensiero e l'essere sono intuizioni immediate che saltano fuori
autonomamente tramite la messa in forse di tutto.
Ma
il cogito mi rende sicuro soltanto della mia esistenza, non mi dice
nulla sull'esistenza di ciò che è fuori di me, di ciò che è altro
da me. Sono sicuro che io esisto, che ho idee e pensieri, ma questi
non hanno per forza la certezza dio essere collegati a qualche cosa
di esterno a me. Per giungere alla conoscenza del mondo e degli
altri, Cartesio elabora la divisione delle idee in tre classi: quelle
innate, che sono in me e corrispondono alla capacità di pensare e di
avere idee, quelle avventizie, che vengono da fuori e corrispondono
alle idee delle cose naturali e quelle fittizie, che formo da me
stesso e a cui appartengono le idee delle cose chimeriche ed
inventate. Ora, per sapere se a queste idee corrisponda una realtà
esterna devo interrogarmi su quale potrebbe essere la loro causa. Per
quanto concerne le idee della prima e della terza classe esse
potrebbero tranquillamente essere state prodotte da me, infatti non
contengono nulla che non sia nelle mie possibilità. Soltanto l'idea
di Dio, perfetta ed assoluta, non rientra nelle mie capacità.
Produrre un'idea perfetta è impossibile per un essere finito e
imperfetto come l'uomo, che è imperfetto proprio perché dubita. Un
idea perfetta ed infinita come quella di Dio deve essere prodotta da
un ente infinito. A questa prova dell'esistenza di Dio, Cartesio ne
aggiunge altre; se io fossi la causa di me stesso mi sarei creato
infinito e perfetto così come concepisco Dio, m,a così non è per
cui è Dio ad avermi creato; inoltre, non si può pensare a Dio come
un essere perfetto senza unire alla sua essenza anche l'esistenza che
è una caratteristica della percezione (questa è la così detta
prova ontologica dell'esistenza di Dio).
Dio
essendo perfetto non può ingannarmi per cui una volta passati dalla
conoscenza dell'idea dell'io a quella di Dio siamo autorizzati a
passare da Dio al mondo ed affermare che esistono anche le cose che
noi vediamo esternamente a noi stessi. L'evidenza della realtà delle
cose corporee ci giustifica ad affermare la loro esistenza.
Cartesio
ammette accanto alla sostanza pensante (res
cogitans)
che costituisce l'io, l'esistenza di una sostanza estesa (res
extensa) che
costituisce le cose corporee che io percepisco esternamente a me. Le
caratteristiche delle due sono contrastanti, la res cogitans è
inestesa, consapevole e libera, mentre la res extensa è spaziale,
inconsapevole e determinata. Per sopperire alla totale separazione di
questi due universi Cartesio è costretto a individuare nella
ghiandola pineale, l'odierna epifisi, il mezzo tramite cui comunicano
queste due realtà. (Procedimento questo elaborato ad hoc per
sopperire ad una mancanza di sistematicità che la speculazione di
Cartesio ha sempre cercato e che non esimerà il nostro dal ricevere
critiche dure).
Fisica
e geometria
Cartesio
fu un fermo sostenitore del meccanicismo, ovvero di quella teoria che
considera la realtà fisica determinata da leggi invariabili e prive
di libertà.
Secondo
Cartesio possiamo assumere come oggettive soltanto le proprietà
suscettibili di una trattazione geometrica, mentre le proprietà non
geometriche che attribuiamo al mondo sono di natura soggettiva. La
geometria è, quindi, l'unica scienza fisica.
Cartesio
tende ad unificare la geometria e l'algebra, e riesce in questo
proposito riorganizzando la simbologia algebrica. L'algebra
riorganizzata in un linguaggio autonomo diviene così utilizzabile
per riprodurre entro di se, in termini puramente formali, la
geometria che a sua volta si presenta come strumento di
chiarificazione intuitiva dell'algebra. Il numero e la forma
diventano così traducibili l'uno nell'altra. Le assi cartesiane che
oggi sono normale riferimento per la geometria analitica, consentono,
infatti, di trasformare grandezze numeriche in grandezze geometriche
e viceversa.
La
fisica cartesiana ha per oggetto la res extensa, quindi il mondo
nella sua estensione. La fisica pretende di spiegare tutta la varietà
dei fenomeni esistenti nel mondo tramite l'estensione e il movimento.
Entrambe sono originate da Dio, a Dio, infatti, si deve non solo la
creazione della res extensa, ma anche l'attribuzione di una certa
quantità di moto.
L'identificazione
della materia con la res extensa comporta che lo spazio si dimostra
infinito, così come infinita è la cosa estesa; inoltre lo spazio
esteso è infinitamente divisibile e continuo, non ammette salti e il
vuoto non è concepibile; inoltre, lo spazio si presenta
infinitamente indifferenziato, le qualità che attribuiamo alla
materia sono soltanto soggettive, essa è qualitativamente
indifferenziata.
Due
sole leggi dominano l'universo fisico di Cartesio e sono il principio
di inerzia e il principio della conservazione della quantità di
moto.
Un
essere vivente, da questa prospettiva, risulta essere costituto come
una macchina, un automa che funziona secondo i due principi
precedentemente presentati. Lo stesso corpo dell'uomo è una macchina
di cui la res cogitans si serve come di uno strumento.
Morale
La
morale cartesiana fa appello alla stessa sistematicità che l'autore
del Metodo voleva
assicurare sia allo studio della metafisica che a quello che si
interessava di chiarire le strutture di base del mondo fisico.
Le
regole che portano alla morale provvisoria e mai più trattata dal
nostro sono: 1) obbedire alle leggi e ai costumi del paese; 2) essere
fermi nelle azioni e nelle intenzioni, seguendo anche le opinioni
dubbiose dopo averle accettate ed assunte; 3) vincere se stessi più
che la fortuna, cercando di cambiare se stessi più che il mondo.
Cartesio
distingue nell'anima azione e affezione, le prime sono volontarie a
differenza delle seconde che sono invece costituite da percezione,
sentimenti o emozioni che sono causate nell'anima dagli spiriti
vitali. La forza dell'anima consiste nel vincere le emozioni , e
vincere le emozioni equivale ad essere saggi.
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