giovedì 26 aprile 2012

Riassunto Berkeley


George Berkeley nasce a Dysert in Irlanda il 12 marzo del 1685. si laurea a Dublino e nel 1728 parte verso le isole Bermude, spinto dal suo sogno di civilizzare e evangelizzare le popolazioni indigene americane. Fermatosi a Rhode-Island vi rimane per tre anni. Nel 1731 torna a Londra dove venne nominato vescovo di Cloyne in Irlanda. Nel 1752 si trasferisce ad Oxford dove il 20 febbraio dell'anno successivo muore.
Opere di Brekeley sono il Saggio di una nuova teoria della visione, il Trattato sui principi della conoscenza umana, i Dialoghi tra Hylas e Philonous, l'Alcifrone e la Siris.

Secondo Berkeley tutte le speculazioni filosofiche a lui precedenti sono sempre incorse in errore perché hanno sempre considerato valida la capacità dell'uomo di formulare idee astratte. Questo non è vero l'idea di una cosa è sempre l'idea di una cosa particolare. Pensare ad una cosa è sempre avere in mente una cosa specifica e determinata.
I soli oggetti della conoscenza umana sono le idee. Queste per esistere hanno bisogno di essere percepite per questo Berkeley afferma che il loro essere consiste nel loro essere percepite (esse est percipi) e per questo non possono esistere al di fuori degli spiriti o delle menti che le percepiscono. L'oggetto e la percezione sono la stessa cosa e non possono essere astratti l'uno dall'altro. Inoltre, l'oggetto della percezione è soltanto un'idea e questa non può esistere senza essere percepita. L'unica sostanza reale è dunque lo spirito che percepisce le idee.
Le idee sono assolutamente inattive e non possono produrre nulle; attivo è soltanto lo spirito che le percepisce. Attivo è quindi il nostro spirito che percepisce le idee e le unisce o divide a suo piacimento. Nello stesso tempo però, lo spirito non ha alcun potere sulle idee che percepisce attualmente, ovvero sulle idee delle cose naturali; queste sono percezioni più forti delle idee semplicemente immaginate e per questo motivo devono essere prodotte in noi da uno spirito superiore, che è Dio. Quelle che noi chiamiamo leggi della natura sono soltanto le regole fisse tramite cui Dio produce in noi le idee dei sensi. Noi apprendiamo queste regole dall'esperienza e così siamo in grado di prepararci ai bisogni della vita.
Per ricapitolare, le idee che noi chiamiamo cose naturali sono prodotte in noi da Dio mentre quelle che noi chiamiamo idee sono nient'altro che immagini delle prime. Le idee quando non sono percepite da noi sono percepite da Dio; esse non sono create dal nostro spirito ma sono esterne ad esso. Una volta bandita la materia, che nel sistema di Berkeley non trova alcuno spazio in quanto la stessa idea di materia esiste soltanto nell'essere percepita e non autonomamente, non si può far altro che ricorrere a Dio per spiegare l'origine, l'ordine e la bellezza delle nostre idee sensibili e la stessa esistenza delle cose sensibili diventa la dimostrazione immediata dell'esistenza di Dio. La natura e il suo studio acquistano subito una valenza religiosa, giacché rendersi conto delle leggi naturali equivale a interpretare il linguaggio attraverso il quale Dio ci rivela i suoi attributi e ci conduce verso la felicità. La scienza della natura in Berkeley si identifica con una sorta di grammatica del linguaggio divini e la filosofia acquista la forma della vera lente di ingrandimento per comprendere questo linguaggio.
Questa concezione della natura dell'uomo e del mondo ha assunto il nome di immaterialismo e come tale rende indubitabile anche l'immortalità dell'anima. Abbiamo affermato che dal punto di vista di Berkeley le idee sono passive mentre lo spirito è attivo, per cui l'unico ad agire è lo spirito che si rivela essere la nostra vera molla di interpretazione del linguaggio divino. Lo spirito e le idee sono così diversi tra di loro che non si può affermare neanche che si ha un'idea dello spirito. Conosciamo lo spirito con assoluta certezza ma questa certezza non la si può chiamare idea bisogna, invece, chiamarla nozione. Conosciamo gli spiriti diversi dal nostro soltanto attraverso le idee che, producono in noi ma non possiamo averne nozione; ci è, invece, possibile avere nozione soltanto in merito al nostro spirito, una nozione che si dimostra permanente e semplice, estranea ad ogni composizione per cui immortale.

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