Questo post si propone di analizzare un quadro (in realtà potremmo definire tre quadri) che in collegamento con quanto detto riguardo al immagine dell'opera di Tesauro, il Cannocchiale aristotelico (Il cannocchiale aristotelico), opera anche esso a favore di un'ampliamento delle categorie che utilizziamo per interpretare il mondo, sia esso reale o immaginario. L'opera di cui voglio discutere è il trittico chiamato Giardino delle delizie, un opera di Jeroen Anthoniszoon van Aken, più noto come Hieronymus Bosch. Sulla data di composizione dell'opera ci sono varie interpretazioni, ma possiamo affermare che sia stata composta tra il 1480 e il 1490.
Questo è ciò che si presenta ai nostri occhi quando il trittico è chiuso, i due pannelli laterali coprono le immagini interne per farci ammirare il Mondo, forse all'atto della creazione; si scorge, infatti, in alto a sinistra l'immagine di un Dio e la citazione che si trova sul margine alto di quella che potremmo definire introduzione al Giardino vero e proprio suona in questo modo: Ipse dixit et facta sunt. Ipse mandavit et creata, in poche parole: Egli dice ed è fatto, egli manda
ed è creato.
Questa che abbiamo definito introduzione alla vera opera già di per sè mi sembra un capolavoro, le immagini interne alla sfera terrestre subito iniziano a stimolare la nostra fantasia, una sorta di mistica immaginaria ci presenta una realtà velata ed in continuo divenire. Sembra che l'opera ci voglia annunciare lo sbocciare della vita e la sua infinita varietà, cosa che accadrà immediatamente appena si aprono le ali laterali e si presenta in tutta la sua bellezza l'interno, la vera e propria opera d'arte che con un solo sguardo ci rapisce e non ci dà più respiro.
Un'opera colossale che consente alla nostra mente di fare una serie di salti dal mondo esterno al dipinto, cosa che nessun'altra opera sa fare con la stessa disinvoltura e le stesse infinite potenzialità di riflessione che sono proprie dell'opera di Bosch.
Il trittico interno è diviso in tre pannelli: il pannello di sinistra è stato definito Il Giardino dell'Eden.
Quello centrale è il vero Giardino delle delizie
Infine il pannello di destra che viene definito L'inferno musicale
Non vorrei diventare pesante quindi evito un'interpretazione storica e artistica dell'opera, questa si trova facilmente sui motori di ricerca. Quello di cui mi interessa parlare è il forte legame che si istituisce tra la mente e i pensieri di chi si accinge a guardare questo dipinto, anche se è la prima volta che fa questa esperienza, e il dipinto stesso.
Il quadro gioca sul nostro bisogno di decifrare, il nostro bisogno di adattare le categorie con le quali interpretiamo il reale affinché coincidano con quelle che il dipinto porta autonomamente con se. Nello stesso momento in cui, però, facciamo questo ci rendiamo conto di un'eccedenza, di un gap tra quello che conosciamo del mondo e della vita e quello che il quadro ci comunica.
Wilhelm Fraenger, dotto interprete e conoscitore delle opere di Bosch, parla di una oura e semplice volatizzazione del senso. Una volatizzazione che secondo me nasconde, però, nell'intimo quell'immenso bagaglio di categorie e modi di interpretare il mondo che altrimenti resterebbero sommersi e che ci aiutano ad ampliare il raggio d'azione del nostro e personalissimo Cannocchiale aristotelico (Il cannocchiale aristotelico, tutti ne abbiamo uno diverso).
Il quadro rende schiava la passione occidentale di decifrare, sembra che possa condurci alla verità, ma nello stesso momento la vela di cose incredibili. Fa fare alla nostra mente viaggi che non avremmo potuto fare altrimenti, in territori che hanno si qualche cosa di familiare, ma questo familiare scompare appena si nota la differenza che intercorre con la realtà del mondo. Racconti letterari sembrano generati all'infinito, il piacere del vedere è l'implementazione del senso, non la sua morte. Il Giardino offre una molteplicità di itinerari possibili e nello stesso momento si propone di provocare e deludere ogni traiettoria interpretativa. Il paradiso non finisce mai di ritrarsi grazie all'effetto che produce e quest'effetto si basa proprio sul fatto che il paradiso è lì, avanti ai nostri occhi eppure non riusciamo ad incastrarlo nello schematismo categorico che ci guida quotidianamente.
Il Giardino vuole ampliare i concetti classici che utilizziamo quando pensiamo di aver colto la verità di una cosa, vuole farci pensare ad altro rispetto a quanto fa vedere, ma nello stesso momento ci apre alla menzogna di quello che stiamo pensando. L'alterità del quadro è la sua capacità di far fallire le interpretazioni che esso stesso produce nello spettatore, lasciando spazio ad al semplice piacere derivante dalla vista. Bosch non è delirante, fa delirare, come sostiene Michel De Certeau in Fabula Mistica, un cominciamento insensato apre alla produzione di discorsi di senso.
Gli occhi presenti in ogni pannello fanno in modo che non è soltanto lo spettatore ad ammirare il quadro ma è lo stesso quadro che guarda lo spettatore, lo sovrasta nella sua capacità di interpretare e dio guidare l'interpretazione verso nuove terre, verso cose inesplorate che immediatamente assumono un carattere di presunta familiarità, per mostrare dopo la difficoltà che l'uomo incontra nel dare senso alle cose. Il dipinto si interroga sul senso, ma non per dare un senso, bensì per mostrare la mancanza di senso, il gioco del dare senso alle cose e di quello ad esso collegato di non riuscire a collegare il senso alla realtà, un ampliamento prismatico delle finestre di osservazione attraverso le quali interpretiamo il mondo.
Narratività interminabile, discorsività dei piaceri. Il trittico riesce a far volare la nostra fantasia in mondi fino a prima sconosciuti, in mondi che ci mostrano come la strada dell'attribuzione di senso non è univoca ma soggettiva, radicata in categorie che ogni individuo sviluppa in modi del tutto particolari.
Capire per cercare di capire, sì, ma cosa? Questo è l'enigma che Bosch mette in scena. Un senso c'è, per forza di cose deve esserci, ma appena pensiamo di averlo afferrato ci sfugge e va a posarsi su altre cose continuando quell'eterno ritorno del divenire che tutto e tutti avvolge.




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